Prima che riuscissi a decidermi, Val scese dal letto e andò in bagno con passi felpati. Vidi un breve flash di luce quando la porta si aprì e poi si richiuse. Povera Valerie. Se fossi stata al suo posto, mio padre avrebbe fatto esattamente quello che lei si aspettava dal suo: avrebbe trovato il modo di far sputare sangue a chi mi aveva ferita.
Qualche minuto dopo, uscì dal bagno e accese la luce. Si era sciacquata la faccia, i capelli ravviati dietro, e portava la camicia da notte nuova, una semplice tunichetta blu a maniche lunghe. «Ehi» disse, tornando a stendersi. «Siamo gemelle!» Ripescò un cioccolatino abbandonato sul pavimento accanto al letto e lo mangiò. Mentre masticava, pensai a che cosa avrei potuto dire, a come avrei potuto aiutarla.
«Mi sei mancata, lo sai» mi uscì alla fine.
«Anche se sono stata stronza?» Parlava evitando il mio sguardo, mentre scartava lentamente un altro cioccolatino. «Anche se ho mentito su di te?»
«Non erano tutte bugie» ammisi. «Io avevo una cotta per Dan.»
Scoppiò in una breve, amara risata. «Un errore colossale.»
«E sapevo che ci sarebbero state delle conseguenze. Se tu avessi puntato il dito contro Swansea, alcune delle cheerleader probabilmente ti avrebbero lasciata sola.»
Altro sbuffo di amarezza. «Di' pure tutte.»
Sentii un nodo alla gola. «Pensavo che se fosse andata così avresti avuto ancora bisogno di me.»
Restò in silenzio per un istante. Quando si girò, credetti che volesse spegnere la luce. Invece allungò il braccio tra i due letti.
«Ho sempre bisogno di te» disse, e mi prese la mano. «Amiche?»
Avvertii il calore del suo palmo contro il mio, il conforto di avere un altro corpo nella stanza, qualcuno con cui ridere, viaggiare. Essere. Per sempre, se così voleva il destino. «Amiche.»
Dopo un rapido breefing sull'accaduto, avevamo sfilato insieme le scarpe e ripulito il viso all'uomo svenuto. Poi ci eravamo date appuntamento in soggiorno per definire un piano.
«Senti questa» propose Val. «Lo ficchiamo in un carrello del supermercato e lo lasciamo davanti al pronto soccorso, come in Animal House.»
Oh, Signore. «Okay, non credo che Animal House fosse concepito a scopo istruttivo. E poi potrebbe essersi fatto davvero male. E anche se fosse: dove lo troviamo un carrello?»
Ci pensò su. «Ottime argomentazioni. Okay. Chiamiamo un taxi..»
«Credo che sarebbe meglio riportarlo semplicemente alla stazione di polizia.» Indugiai. «E confessare.»
«Non lo so» disse Val, aggrottando le sopracciglia. «Non sembra esattamente in veste ufficiale, al momento.» Si staccò una pellicina. «Specie dopo che gli ho tolto i pantaloni.»
La fissai. «L'hai fatto?»
«Sì!» rispose con aria compiaciuta.
«Perché?»
«Erano sporchi.» Si mordicchiò l'unghia del pollice. «E poi,sai, nel caso tentasse di scappare o roba del genere.. E' dura se non hai i pantaloni.» Continuò a tormentarsi l'unghia. «Non che lo sappia per esperienza personale.»
«Valerie.» Mi sforzai di non perdere la pazienza. «Hai mai preso in considerazione l'ipotesi che il tuo cervello abbia qualcosa che non va?»
Mi rivolse un sorriso dolce, schietto. «Tendo sempre a pensare che il problema sia nella testa degli altri.»
Presi il telefono. «Forse dovremmo semplicemente chiamare la polizia.»
«Aspettiamo che si svegli» suggerì lei alzandosi in piedi e stiracchiandosi. «Che fretta c'è?»
«Dovrei assicurarmi che stia bene.»
«Vai» esclamò. «Dacci dentro di brutto.»
L'altra storia di noi
Jennifer Weiner
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