Bravo, bastardo.
Il pubblico in studio esplode in un applauso spellamani.
Ingollo una sosata profumata di torba compiacendomi del mio lavoro. Sono pronta a scommettere che mai Mantegna telefonerà a me o a Enrico per farmi avere i suoi ringraziamenti, ma mi basta sapere che per l'ennesima volta ho svolto alla grande il mio compito. E soprattutto che tutto ciò farà mucchio per poter chiedere un aumento a Enrico.
Il cui nome, manco l'avessi evocato, appare giusto in quel momento sul display del mio cellulare.
Non rispondo, perché Enrico deve imparare a non rompermi le palle di sabato sera e poi perché tanto starà chiamando solo per commentare l'intervista, che anche lui avrà sicuramente appena visto. Solo che dopo un minuto il telefono riprende a ronzare.
«Cosa c'è?» rispondo. «Enrico, è sabato sera.»
«Non fare finta di avere una vita sociale con me», dice Enrico, e io potrei offendermi, se solo - indovina indovinello - me ne fregasse qualcosa. «Ho un lavoro da darti», annuncia.
«Di sabato sera? Non puoi lasciarmi in pace fino a lunedì?»
«No, lagna. E' una cosa grossa e tra un attimo capirai perché non potevo aspettare. E poi che significa che ti lamenti? Hai idea di quante persone darebbero una gamba per sentirsi offrire un lavoro, anche di sabato sera?»
«Lo so, sono tempi di merda, la gente fa la fame eccetera eccetera. E sai perché lo so? Perché anch'io ho una paga da fame, nel caso non l'avessi notato. Il costo della vita è aumentato dall'ultima volta che sei entrato in un supermercato, cioè negli anni Novanta.» Sbuffo. «che lavoro è?»
«Hai presente Bianca?»
Bianca.
L'imprevedibile piano della scrittrice senza nome
Alice Basso
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